La malattia

Intervista al professor Darryl De Vivo

Ecco un’interessantissima intervista del professor Darryl De Vivo, il medico che ha dato il nome alla nostra malattia, scoprendola negli anni 90.
Riportiamo qui una sintesi tradotta in italiano.

Sono Dr. Darryl De Vivo, professore di neurologia in pediatria presso l’Irving Medical Center della Columbia University che si trova a New York City e sono qui da 40 anni, inizialmente come direttore della Neurologia Infantile.

Cosa ha portato alla scoperta della sindrome da deficit di Glut1?

Arrivare a comprendere la sindrome da deficit di Glut1 mi ricorda alcuni famosi commenti fatti molti anni fa da Louis Pasteur nel 1854, quando ha sottolineato che nel campo dell’osservazione l’opportunità favorisce solo la mente preparata. Penso che ci siano opportunità che ci vengono presentate ogni giorno per fare osservazioni significative per avanzare in un campo, aumentare la comprensione del problema del paziente e, in ultima analisi, sviluppare una certa comprensione di come trattare il problema in quanto tale. E penso anche che tutti i medici dovrebbero essere attenti alle opportunità che vengono loro presentate ogni giorno dal paziente e dalla sua famiglia; il nostro compito è ascoltare e pensarci su, per non scartarlo come qualcosa che non ha senso per noi in quel momento.

Mi piace pensare che non ci siano informazioni inutili: penso che ci siano molte informazioni, alcune delle quali non siamo in grado di usare al momento, ma ad un certo punto in futuro potrebbero rivelarsi rilevanti.
Fino al 1966 veniva insegnato che l’unico combustibile che il cervello poteva utilizzare era il glucosio e nel 1967 George Cahill fece un esperimento: il suo team mise a digiuno degli adulti obesi per periodi da 30 a 60 giorni e poi esaminarono l’estrazione dei metaboliti, mentre il sangue scorreva attraverso il cervello dal lato arterioso al lato venoso. Hanno quindi dimostrato che almeno durante il digiuno (e probabilmente anche durante lo stato nutrito), il cervello ha la capacità di assorbire glucosio o corpi chetonici come combustibile metabolico.

Durante questa scoperta, ero al National Institutes of Health e finivo la mia formazione che ho completato alla Washington University; così scrissi il mio primo RO1 intitolato “Convulsioni, chetosi e metabolismo cerebrale “.

Per diversi anni ho passato il mio tempo a studiare le condizioni relative all’ipoglicemia, all’iperglicemia e anche alle condizioni associate alla chetosi e abbiamo anche evidenziato la domanda fondamentale su come la dieta chetogenica funzioni effettivamente per controllare le convulsioni: qual è il meccanismo anticonvulsivante della dieta chetogenica?

Il razionale della dieta era cercare di simulare il concetto di digiuno ed era noto, anche dai tempi biblici, che se un paziente epilettico avesse digiunato per un certo periodo di tempo, avrebbe avuto la cessazione delle crisi per il tempo del digiuno…ma non si può digiunare indefinitamente.

Così era stata elaborata la dieta chetogena, ricca di grassi, che produce i corpi chetonici, per simulare i benefici del digiuno e quindi il controllo della condizione epilettica.

Questa era lo stato dell’arte quando ho incontrato per la prima volta il paziente Joseph Ruggiero e la sua famiglia nel 1989. Quando lo vidi aveva sette mesi e mezzo: aveva iniziato ad avere crisi miocloniche all’età di 2 mesi e nel corso della sua valutazione avevano fatto una serie di tre punture lombari e scoperto che il glucosio nel sangue era normale, mentre il glucosio spinale era sproporzionatamente basso. Io ho chiesto se potevamo ripetere la quarta puntura lombare e misurare altri metaboliti nel CSF, compreso il glucosio e il lattato: l’abbiamo fatto e abbiamo trovato che il glucosio nel sangue era normale, il glucosio nel liquido cerebrospinale era basso e il valore del lattato del CSF era molto basso.

Conclusi che l’unico modo in cui potevamo spiegare questo, è che ci fosse un problema per il glucosio a passare dal sangue -attraverso la barriera emato-encefalica- nel cervello e nel liquido spinale.
Quindi la nostra ipotesi fu che ci fosse un blocco geneticamente determinato nel trasporto del glucosio attraverso la barriera emato-encefalica.
Nel 1985, il dott. Michael Mueckler aveva scoperto la proteina Glut1 e quindi abbiamo ipotizzato che ci fosse una mutazione nel gene Glut1.

Quindi abbiamo passato anni a lavorare per cercare di determinare se potessimo caratterizzare una mutazione nel gene Glut1 e infine, con quattro pazienti, abbiamo individuato una mutazione causante la malattia, un diverso tipo di mutazione nel gene Glut1 in ciascun caso, e lo abbiamo pubblicato su Nature Genetics nel 1998 e penso che in quell’occasione definimmo il deficit di Glut1 come una vera e propria malattia: una malattia genetica rara trasmessa quasi sempre come autosomica dominante.

Di fatto io, e altri come me, in particolare nella neurologia infantile, abbiamo passato la vita a studiare malattie rare molto prima che le chiamassimo “malattie rare” in quanto tali; il concetto di malattia rara fu originariamente definita nel 1983 come una condizione che colpisce meno di 200.000 persone negli Stati Uniti – e ora sappiamo che delle 10.000 malattie umane che conosciamo, circa 7.000 sono definite come malattie rare, e interessano complessivamente 28-30 milioni di persone negli Stati Uniti.

Ma torniamo a Joey: dopo che ci siamo resi conto che si poteva trattare di un difetto nel trasporto del glucosio, abbiamo suggerito di adottare una dieta chetogenica.
La madre di Joey, Angela, mi ha contattato il terzo giorno e mi ha detto: “Dottor De Vivo, Joey ha iniziato la dieta chetogenica quando siamo arrivati a casa e ora è il terzo giorno e non ha avuto crisi… è la prima volta da quando ha due mesi di età che non ha avuto crisi epilettiche”.

Infatti non c’era abbastanza glucosio nel cervello e quindi il fabbisogno addizionale di combustibile metabolico veniva fornito dai corpi chetonici che entravano in contatto con un meccanismo di trasporto diverso.

E così abbiamo individuato un trattamento per Joey e successivamente altri pazienti con deficit di Glut1.

E la dieta chetogenica rimane lo standard di cura e la gestione di questi pazienti.

Ma speriamo presto di migliorare l’individuazione di questi pazienti avvisando i medici che c’è una manifestazione che è tipica e diagnostica per questi pazienti: eye-head abnormalities o aberrant gaze saccades.

Quindi dobbiamo continuare a lavorare per sviluppare un metodo in cui possiamo identificare il deficit di Glut1 nel periodo neonatale o anche prima.

Un punto che mi piace sottolineare è l’importanza di ascoltare il paziente e ascoltare la famiglia.

Abbiamo riportato un caso nel 1990, due casi nel 1991, quattro casi con mutazioni nel 1998 e ora sappiamo di centinaia di casi e di recente abbiamo riferito di 14 pazienti che avevo avuto il privilegio di seguire per più di 20 anni, e abbiamo scoperto che nell’infanzia la loro manifestazione era principalmente l’epilessia, quindi era un fenotipo epilettico; ma continuando a seguirli, abbiamo scoperto che nella tarda infanzia e prima adolescenza le convulsioni si placarono ma iniziarono a esserci anomalie di movimento che erano di natura parossistica, che interferiscono con la capacità di camminare o di alzarsi correttamente o muoversi.

Quindi questa stessa malattia che sembra una condizione epilettica durante l’infanzia, si trasforma in un disturbo del movimento nella tarda infanzia e nella prima adolescenza ; sempre più spesso arriviamo a vedere che lo spettro della presentazione clinica del deficit di Glut1 è in parte determinato dall’età e anche correlato a regioni del cervello che si stanno sviluppando in punti diversi post natali.

Quindi lo spettro è diventato abbastanza ampio e sta abbracciando molti fenomeni clinici che abbiamo visto nella neurologia infantile nel corso degli anni, come l’emiplegia transitoria dell’infanzia.

Il nostro è un processo di apprendimento continuo mentre seguiamo i pazienti.

E devo dire che sono un po’ preoccupato perché il personale medico più giovane è così impegnato a fare tante cose così in fretta che gli è permesso di trascorre solo pochi minuti con i loro pazienti…mentre io ho avuto il privilegio di passare ore ogni volta con i miei pazienti; se avessi avuto solo 5 minuti o 15 minuti con Joseph, sono sicuro che avrei fatto molte meno osservazioni significative.

Quali sono le principali necessità per ulteriori ricerche?

Penso che le principali aree di ricerca siano:
1) avere una comprensione completa della storia naturale della patologia;
2) completare la comprensione di ciò che chiamo la fisiopatologia del processo.

Più comprendiamo la fisiopatologia più possiamo pensare alle conseguenze nelle vie metaboliche a monte e nelle vie metaboliche a valle.
E mentre pensiamo a ciò, potremmo iniziare a pensare ad approcci terapeutici alternativi al problema.

Ovviamente l’ideale è aggiustare il gene o inserire un nuovo gene e oggigiorno abbiamo una terapia genetica umana emergente che spesso usa un virus adeno associato come vettore per portare un gene Glut1 sano nelle cellule cerebrali in modo da impostare la pulizia nelle cellule cerebrali e creare una proteina Glut1 sana e quindi fondamentalmente risolviamo il problema reintroducendo un nuovo gene.

Parte di questo è in corso ora: stiamo lavorando a un modello murino per il deficit di Glut1. Abbiamo già curato i topi e siamo contenti di questo; ma in quel processo di studio dei topi ci siamo imbattuti nel fatto che quando non si ha abbastanza glucosio nel cervello in via di sviluppo ci sono altre conseguenze: per esempio i vasi sanguigni hanno bisogno di glucosio per svilupparsi e quando non ce n’è abbastanza che entra nel cervello e anche il Glut1 è carente, si crea una situazione di ridotta vascolarizzazione che invece è molto importante per nutrire il cervello in crescita. Così ora ci concentriamo anche sui vasi sanguigni nel cervello che si stanno sviluppando, che sono sottosviluppati a causa del trasportatore di Glut1.

Vogliamo anche aumentare la consapevolezza che questa malattia è geneticamente determinata e si presenta nella prima infanzia: dobbiamo riconoscerla immediatamente per quello che è, e identificare il bambino appena nato sano che è a rischio di sviluppare questi sintomi; e poi alla fine avere un trattamento definitivo come la terapia genica in modo da trattare il neonato sano prima che diventi clinicamente sintomatico.

Tutto ciò richiede molto tempo e molti soldi purtroppo.

Cosa le piacerebbe far sapere ai medici che stanno diagnosticando e trattando i nuovi pazienti con Glut1 DS?

Abbiamo sviluppato il modello animale e abbiamo ottenuto l’approvazione della FDA per portare le nostre idee nel contesto clinico.

A questo punto sempre più abbiamo bisogno di collaborare con altri che abbiano una capacità finanziaria più ampia e così ora stiamo lavorando con un’azienda farmaceutica interessata alla terapia genica per il deficit di Glut1 che ha la capacità di fare cose su una scala più ampia che altrimenti non potremmo fare. Siamo lieti di collaborare con loro e speriamo che lo portino al livello successivo e in clinica come studio per la terapia genica per il deficit di Glut1.

Ma abbiamo bisogno che i pazienti vengano identificati e quindi voglio dire a quei dottori che non vivono nel mondo accademico come me, che sono quelli in prima linea e vedono ogni cosa ogni giorno: “Quando vedi un paziente che pensi abbia qualcosa che non capisci, parlane a qualcuno come me o in alternativa pensa: “hmm,mi chiedo se questo sia quello di cui stanno parlando e forse questo è un paziente Glut1 …quindi lo indirizzo in un centro che è meglio informato sull’argomento del deficit di Glut1”.

Qualche pensiero di chiusura

Vorrei sottolineare un paio di cose: una è che quando ho iniziato come neurologo non avevamo quasi nulla che potessimo fare davvero per aiutare i nostri poveri pazienti sofferenti; abbiamo ascoltato attentamente, abbiamo provato a fare la diagnosi. Eravamo degli esaminatori formidabili, abbiamo potuto identificare sintomi e indizi, fare delle punture lombari perché non avevamo molte altre cose che potessimo fare. E poi facemmo del nostro meglio per mettere il paziente a suo agio e aiutarlo a vivere con la sua disabilità e a tale riguardo come neurologo infantile ho sempre lavorato con la famiglia perché il paziente faceva parte della famiglia e ha tratto forza dalla famiglia e anche la famiglia traeva forza dal paziente.

C’era questa interazione tra il bambino con una disabilità o uno svantaggio e i genitori che volevano aiutare e lavorare con il bambino per consentire a quel bambino di essere il più autonomo possibile e a stare meglio, pur nelle circostanze della sua disabilità.

Ma soprattutto, e in particolare nell’epilessia, per anni abbiamo trattato i pazienti con epilessia come se l’epilessia fosse la malattia, ma ho continuato a parlare ai miei studenti in molte occasioni: l’epilessia è il sintomo, non è la malattia; dobbiamo capire che cos’è la malattia che sta causando l’epilessia!

In 50 anni siamo passati dal tentare di capire cosa c’è che non va nel paziente, ma senza poter fare nulla al riguardo, ad ora: dove non solo comprendiamo il paziente ma abbiamo molti strumenti che ci permettono di esaminare il sistema nervoso.

E spero che in un futuro non troppo lontano il deficit di Glut1 sarà la prossima condizione in cui andremo dallo standard di cura con la dieta chetogenica a un trattamento che modifica la malattia, che proteggerà veramente i pazienti e permetterà loro di godere di tutte le opportunità e avere successo come persone adulte.